Less in more.
Mies Van der Rohe
Ed io me lo aspettavo che prima o poi sarebbe toccato pure a me. Togliere per aggiungere. Lavorare in sottrazione. Ampliare, arricchire, rendere tutto, ciò che in partenza è poco, quasi niente. Così mentre per molti versi nel quotidiano delle mie scelte artistiche tale motto è stato sempre un punto di riferimento, uno stile di vita, una scuola di pensiero sempre ben condivisa e sposata, difronte a mestoli e fornelli l’impresa si è dimostrata ardua e difficile, piena di insidie. Quasi impossibile. Questo perchè, come avrete presto compreso leggendo queste pagine, nella mia cucina la parola senza, non è mai pressocchè esistita. Qui si mangia e mangerà tutto. Provengo da una famiglia numerosa le cui fondamenta (i miei genitori cioè, ma anche mia nonna) sono vissute in un periodo storico molto difficile e complesso per il nostro paese ed hanno affrontato la loro gioventù cosciente ben consapevoli di determinate privazioni. Questo ha fatto sì che per rivalsa nei confronti della vita stessa o forse più semplicemente per amore infinito nei nostri confronti, tutto ci potesse mancare, tranne quello che per loro era il bene più grande e assoluto: il cibo.
Mio padre in particolar modo, non hai mai accettato che a tavola si disdegnasse o lasciasse qualcosa. Siamo cresciuti privi di certi lussi tipici dei nostri coetanei, ma con una grande cucina piena e ricca di ogni genere di alimento. Che fosse frutta, verdura, legumi, latticini, pesce, carne, pasta, riso, cioccolata, uova: a casa nostra la regola era: si mangia e si deve mangiare di tutto. Non tutto, non troppo, ma di tutto. Gli unici senza? I se e i ma.
In vero c’è da ammettere che nessuno di noi figli avesse particolari patologie o allergie, ma sono fermamente convita che quest’alimentazione seppur così ricca e variegata ci abbia permesso di crescere bene, lontani non solo da certi squilibri alimentari, ma anche da quello spettro che i miei genitori avevano invece vissuto e che con la loro educazione ci avevano insegnato a rispettare e soprattutto a non dimenticare. Ed ecco perchè la sottoscritta si ostina a rimanere anacronisticamente onnivora.
Quando sono stata contattata per aderire a questo bellissimo progetto di Mela Val Venosta, non avevo la più pallida idea di quello che sarebbe stato il tema principale delle nostre proproste e devo quindi confessare, in tutta onestà e sincerità, di aver avuto un certo vacillamento nel momento in cui ho compreso che la sfida viaggiava proprio sul tema del senza. Preparare dei muffins gluten free è stato semplice. Complici gli amici dei miei figli ai quali il glutine non fa bene ma, ugualmente, condividono con noi merende e feste di compleanno. Ideare, immaginare e progettare invece una torta completamente priva di, è stato tutt’altro che facile. Ogni volta che trascrivevo dosi e ingredienti finivo sempre col depennare qualcosa che era invece per me fondamentale: quindi niente latte, niente ricotta, niente uova, niente burro, niente di niente.
É stato allora che ho pensato a Mies. Quando ormai la disperazione più cupa mi vedeva già mestamente pronta ad infornare mele senza alcun altro ingrediente accanto, ho concentrato la mia attenzione su l’unica cosa cosa che poteva veramente fare la differenza e permettermi di riuscire a proporre una buona ricetta: la mela stessa. Ci sarebbero stati sicuramente tanti senza [less], ma il cuore e l’anima che avrebbe portato al più [more] sarebbe stata proprio lei: la mela Bonita. Il risultato: una torta dal cuore cremoso, piena di pezzi di mela, con una crosticina dorata tutt’intorno ed un sapore non troppo dolce, ma sicuramente piacevole e rustico che poco fa rimpiangere tutto quello che è andato sottratto.
Sono certa che se esistesse un posto dal quale mio padre potesse leggere di questa mia ricetta, lo vedrei scuotere la testa con quel suo modo gentile e garbato che sempre aveva di contestarci le cose. Sicuramente si chiederebbe il perchè di certe scelte e probilmente ad una fetta di questa torta vegana, preferirebbe un morso semplice e pulito alla mela, la cui buccia lustrerebbe sulla manica e il cui sapore gusterebbe fino all’ultimo semino. E se io potessi, in questo luogo lontano o vicino che sia, spiegargli qualcosa, gli direi che qualche volta il più sta nel meno, ma se lui non avesse avuto da giovane tutto quel meno, io non avrei mai potuto apprezzare il mio, il suo, il nostro tutto.
RECIPE
dosi per uno stampo da 20/22 cm
3 mele Bonita lavate, sbucciate e al netto degli scarti
3 mele Bonita per la decorazione
250 g di farina 00
110 g di farina di mandorle
150 g di semolato o di canna
200 ml acqua
200 ml di latte di mandorla
60 ml di olio di semi
il succo filtrato di un limone biologico
1 cucchiaio colmo di estratto di vaniglia
1 bustina di lievito per dolci
zucchero a velo q.b.
Lavate le prime tre mele, sbucciatele, privatele del torsolo e tagliatele in pezzi grossi. Unite l’olio di semi e frullatele fino ad ottenere una consistenza liscia e cremosa. In una terrina abbastanza capiente unite gli ingredienti secchi (le farine, lo zucchero e il lievito ben setacciati) e mescolateli tra loro. Piano piano aggiungete poi il latte di mandorla a filo e l’acqua. Con l’aiuto di una spatola mescolate bene e tenete da parte. Lavate le altre due mele, spaccatele a metà e togliete se preferite la buccia. Aiutandovi con una mandolina riducete in fette da 4 mm ciascuna metà. Versate il succo di limone sulle fette. Aggiungete l’estratto di vaniglia all’impasto, mescolate bene, poi versate in uno stampo precedentemente imburrato e infarinato. Iniziate a farcire con le fette di mela. Se vi piace disponetele tante e vicine a raggiera. Alcune cadranno sul fondo non preoccupatevene. Cospargete la superficie con un’abbondante manciata di zucchero di canna e infornate in forno statico a 160° preriscaldato. Lasciate cuocere per almeno 45 minuti, fino a quando la superficie sarà dorata e la crema all’interno cotta. Togliete dal forno, fate intiepidire poi sformate e decorate con zucchero a velo. La torta va consumata presto. Dura al massimo 48 ore ed è molto buona appena sfornata o scaldata al microonde. Se piace accompagnate con gelato o frutta fresca.
mi piacerebbe saper scrivere in modo così fluido, chiaro e profondo nella sua semplicità. Mies e’ uno dei miei architetti preferiti, less is more e’ quasi un mantra che mi ripeto spesso per scongiurare la tendenza A riempire accumulare conservare, e il mondo si preservedebbe meglio se tutti facessero tesoro di questa filosofia
Cara Alessia se sapessi invece quanta fatica mi costa scrivere… proprio perché vorrei essere sempre più chiara, semplice, lieve con le parole, come con le ricette veg! Ma mi fa immensamente piacere sapere del tuo passaggio da queste parti. Grazie mille
Io sono fermamente convinta che, accanto a tuo papà ci sia mia nonna… Lei, femmina, figlia e sorella di altri 12 pargoli nati e cresciuti negli anni 30, moglie, madre e poi nonna, aveva un’attenzione per il cibo che quasi rasentava la sacralità.
Mia nonna ci frullava la carne e la frutta quando eravamo piccoli perchè non amava gli omogenizzati ”tutta roba industriale” diceva, ci metteva l’uovo nel biberon con il latte per rendercelo più sostanzioso, e prima della pasta ci faceva mangiare la carne perchè ”almeno un po’ di carne l’hai mangiata”, quasi sapesse inconsapevolmente dell’importanza fondamentale delle proteine per la crescita( o forse semplicemente perchè lei, da piccola la carne ne aveva vista ben poca) …
Si, secondo me mia nonna è lì accanto a tuo papà e discutono con fare un po’ guardingo su questa meravigliosa prelibatezza, senza quegli ingredienti fondamentali che gonfiano, danno struttura, aromatizzano…. Ed io che la adoravo, ed in cuor mio la adoro ancora, le sorrido rassicurandola e dicendole che va tutto bene, che per una volta possiamo anche non metterci le uova nell’impasto e e tenerle buone per una bella frittata o una sfoglia di tagliatelle, che per una volta il burro andrà su una fetta di pane magari con dello zucchero sopra come mi preparava da bambina per la merenda, che il latte verrà bevuto dalla tazza e qui lascerà il posto all’acqua e alle mandorle.. che per una volta si può provare a fare a meno per vedere l’effetto che fa, senza aver paura….
Io questa torta meravigliosa la preparerò perchè ho un debole, molto debole in realtà, per le mele e quindi per me già il ”solo” fatto che ci siano loro vale la pena provare…
Per tutto il resto posso solo dirti che … sei meravigliosa..
Grazie e…. alla prossima torta…
con affetto
Manu
Manu bella mia. Hai evocato un’immagine che mi riempie di commozione. Belli i babbo, belle le nonne, belli gli sguardi e le abitudini di un tempo, belle le parole come le tue che ne trattengono il ricordo qui, ancora un po’, sempre…
Non è un semplice prologo, non è un incipit scritto tanto per scriverlo, ma è una vera e propria poesia, sincera, autentica, vera, commovente, ricca di quell’amore che ti identifica, ti rende unica ed è un immenso piacere leggere queste tue narrazioni, mia carissima Debora!!
Tu non sei solo un architetto, una musicista, una moglie e mamma adorabile, una figlia e nipote di genitori ed avi che ti hanno amato più di loro stessi, ma sei anche una grande e poetica scrittrice.
Mi hai commosso perché, ciò che tu hai scritto, ha caratterizzato anche i miei genitori ed anche io, che non ho conosciuto i tempi difficili, sono stato abituato a regimi alimentari onnivori e privi dei “senza”.
Le mele anche io le adoro ed anche io preferisco mangiarle con la saporosa e vitaminosa buccia, a patto che siano bio.
Potrei dire che le preferisco ad un pranzo luculliano, tanto sono buone e profumate e questa tua torta, anche i “senza”, possiede i “tutto” dei nostri tempi. Assaggiamola allora e io sentirò ancora il sapore unico della tua poesia!!
In un posto scrivevo che di mela in mela, di torta in torta finisco col parlare di ricordo in ricordo. Mi accorgo che raccontarvi di me, della mia famiglia, vi avvicina ancora di più, nonostante le mie innate timidezze. Ed è bello sapervi a condividere pezzi di voi. Così fai tu sempre Francesco, in questi nostri dialoghi che raccontano solo di cose belle, mele comprese.