“Scrivere è nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto”. (Se una notte d’inverno un viaggiatore, Italo Calvino)
Scrivere è difficile, ancora di più se si scrive di se stessi. Soprattutto poi, se si vorrebbe far filare quel discorso tutto raggomitolato che sia ha nella testa il cui filo conduttore inzia col béguinage e si chiude, annodato, col Bolero di Ravel. Ma procediamo per ordine.
Tutto ha avuto inzio lo scorso Settembre, quando un paio di ali, solide e robuste, mi hanno portato in giro per i Paesi Bassi e per il Belgio, più precisamente tra le acque di Amsterdam e quelle di Bruges. In questi luoghi la luce ha una consistenza diversa, sembra quasi di poterla toccare: un pulviscolo impalpabile e morbido che riluce anche nelle giornate buie e uggiose. Un bagliore che fa sentire a casa, che fa dire qui ci vivrei volentieri. Ed è proprio tra i bastioni fiamminghi di questo piccolo borgo che, oltre a fare razzia di tutta la cioccolata finita nella mia scorsa cake, ho appreso per la prima volta dell’esistenza del termine béguinage. Termine col quale si indicano alcuni agglomerati precisi della città in cui piccole e graziose costruzioni in pietra bianca, chiuse a corona attorno a rigogliosi giardini, fungevano da ricovero per vedove e donne senza marito, nei tempi andati in cui quest’ultime si definivano beghine e vivere sole, nonostante la luce, poteva essere difficile.
Ora mi ha fatto così strano che esistesse un termine di cui non fossi a conoscenza, che per compensare anni di beata ignoranza, ho iniziato a documentarmi su tutto ciò che ruotasse attorno a beghine e begardi. E, toccandolo con piede, ho potuto scoprire che tali gentil donne sceglievano di rifugiarsi e riunirsi all’interno di luoghi protetti ma di indubbia bellezza, facevano voto di preghiera e si dedicavano ai poveri e ai reietti della società. Quando non impegnate in queste attività passavano il tempo realizzando merletti e probabilmente bevendo tè fumante. Di lì a immaginarmi cosa avrei fatto io al posto loro, il passo è stato breve. Così mentre rimuginavo sull’immagine di me stessa in abiti fiamminghi presa a passeggiare, braccia conserte, in quei chiostri luminosi e profumati, mi sono ritrovata in un negozietto del posto a comprare spezie e stampi di legno per realizzare i biscotti che dopo la passeggiata avrei infornato per l’ora del tè. E poichè mi trovavo in Belgio, proprio non avrei potuto finire che con l’impastare gli speculoos. Le ali dell’aereo, non più quelle della fantasia, mi hanno ben presto riportata coi piedi per terra, ma tra le mai è rimasto realmente impigliato un piccolo stampo in legno e non appena ne ho avuto l’occasione mi son messa a biscottare, sognando ancora di quei luoghi e quella luce.
Così eccomi qui a raccontarvi la storia di questa ricetta che è iniziata con le beghine e finirà col Bolero di Ravel. Avete presente il celebre brano, no? Raccontarlo non è difficile: è un incalzante crescendo di strumenti che si appoggiano per tutto il tempo sul ritmo ostinato suonato dal tamburo. Un singolo giro di tamburo, composto da poche terzine, tutte uguali che si ripetono nella stessa sequenza. Un po’ come è stato usare lo stampo in legno. Pochi gesti, compiuti e composti con la stessa meticolosa concentrazione del tamburista: imburrare, infarinare, pressare, ritagliare. Pochi singoli gesti che, nel brano, sostengono l’alternarsi degli strumenti: prima il flauto, piano, pianissimo, poi il clarinetto, l’oboe e le trombe, i legni e i violini; tutti si aggiungono, fino a quando non è l’intera orchestra a eseguire le note e la musica sembra gonfiarsi, conquista tutto lo spazio circostante, trascina via l’ascoltatore. Credetemi, anche gli speculoos, in piccolo, sono un po’ così: una manciata di spezie che si accordano tra loro e che trascinano via. Un morso a un biscotto, magari ancora tiepido, e la stessa magia si ripete: arriva prima, lieve, il sapore della cannella, poi si aggiungono gli altri, decisi e forti. Si fanno sentire i chiodi di garofano, il gusto dolciastro della noce moscata e quello dello zucchero grezzo. Un altro morso ancora e l’armonia di sapori cresce, fino all’ultima nota regalata dal pepe nero, che all’inizio sembra spiazzare, ma poi conduce la mano a volerne ancora, a continuare a mangiarne, con ritmo incalzante, come fosse un tamburo…
Piattino in grès grigio by Wazars Store
RECIPE
dosi per circa 20 biscotti
150 g di zucchero di canna (meglio se brown sugar)
50 g di sciroppo d’acero
100 g di burro freddo a cubetti
1 g di bicarbonato
250 g di farina
50 ml di acqua
noce moscata, un cucchiaino
pepe nero, un pizzico
3 chiodi di garofano
10 g di cannella in polvere
In una ciotola riducete in polvere sottile lo zucchero di canna con i due chiodi di garofano. Iniziate poi la sabbiatura del burro con la farina: potete utilizzare un food processor frullando insieme i due ingredienti fino ad ottenere una consistenza sabbiosa oppure procedere a mano. Mettete il composto ottenuto su un tagliere, aggiungete lo zucchero di canna con i chiodi di garofano e mescolate il tutto con le mani, dando alle farine la classica forma a fontana. Unite poi le altre spezie: la noce moscata, il pepe nero, la cannella e il bicarbonato. Versate a filo l’acqua e impastate fino ad ottenere un panetto compatto. Lasciate riposare in frigorifero per almeno 2 ore.
Stendete la frolla su un foglio di carta forno, con un mattarello dandole uno spessore di 5 mm. Se usate gli stampi originali in legno come me, tenete a portata di mano burro e farina. Con un pennello spennellate di burro l’interno dello stampo e poi spolverate di farina. Lavorando a pressione disegnate sulla frolla l’impronta di ogni biscotto. Lo stampo in legno necessita di essere continuamente imburrato e infarinato, altrimenti la frolla non si stacca bene e il decoro si rovina. Poi aiutandovi con una rondella per crostate ritagliate ogni biscotto e mettete da parte per la seconda tornata la frolla rimasta.
Accendete il forno a 160° modalità statica. Ponete in freezer i biscotti per almeno mezzora, poi infornate non appena anche il forno avrà raggiunto la gusta temperatura. Appena si saranno dorati, tirate fuori e lasciate raffreddare completaente su una gratella.
Io non lo so se mi piacciono di più le tue foto e il tuo modo di scrivere…non riesco a decidere 🙂
Anche io sono stata in Belgio due anni fa e ho visitato dei begijnhof e mi è rimsata impressa l’atmosfera sospesa e distaccata dal mondo, ho provato una grande pace. Purtroppo non mi sono imbattuta in questi stampi da speculoos, altrimenti li avrei sicuramente comprati perché sono troppo belli.
Un caro saluto, e attendo il prossimo post 🙂
Alice cara, ti ringrazio per i complimenti. Guarda gli stampini sono deliziosi, ma come scrivevo necessitano di un po’ di manualità e pazienza perchè essendo in legno non sono proprio facilissimi da usare. Credo che infatti, nelle mie foto, si vedano tutte le imperfezioni… Magari tu sarai più brava della sottoscritta.
Sono stata felicissima di leggerti. un abbraccio
complimenti, vedo che la luce del nord ti ha ispirata… queste foto hanno lo stesso luccichio discreto, un po’ malinconico e carico di poesia. mi hanno fatto venire voglia di riassaggiare gli speculoos – una volta li ho provati e non mi avevano convinta, ma nella tua versione con sciroppo d’acero e senza zenzero potrebbero conquistarmi! complimenti cara e bentornata 🙂
Sai Tiziana, neanche a me fa impazzire lo zenzero, ma fatti così diventano una dannazione perchè uno tira via l’altro. Fammi sapere cosa ne pensi quando li rifarai. Ci tengo. E grazie per le belle parole.
la beghina, una vocazione dell’anima… mi ci troverei bene forse, se la luce era la stessa di queste foto che meraviglia
La luce mia cara Lara è mille volte mila più bella della mia. Credimi. E tu cme me, da buona blogger amante della fotografia, ci moriresti dietro…Ora poi mi spiego come mai le nostre colleghe del Nord Europa scattano certe foto ;-)))
Ti abbraccio Tesoro
Il tuo post, senza alcun dubbio, è stupendo!!
Hai la grande capacità di condurci per mano, prima nei riservati giardini di Bruges, nei piccoli, ma graziosi negozietti della città, mescolando così la sua geografia climatica con la sociologia e la storia glottologica dei suoi termini linguistici. Come se ciò non bastasse, da ottima musicista, prendi la bacchetta del direttore d’orchestra e, anche se solo con le parole, ci fai ascoltare il Bolero di Ravel, brano meravigliosamente coinvolgente. non ti nascondo che, immaginando il ritmo delle battute del tamburo, inavvertitamente, i miei piedi hanno cominciato a battere il quattro
cosa dire poi dei tuoi speculoos, biscotti profumati e deliziosi da te preparati a ritmo di bolero!!
Se riuscissi a mettere insieme tutte queste meraviglie che ci hai insegnato, dovrei solo dire che il tuo modo di narrare, di comunicare le tue emozioni, di incantarci a leggere e rileggere ciò che riesci a scrivere, è un unico e grande esemplare che non ha eguali.
Con quell’ansia piacevole e quell’attesa aperta alla speranza, ti aspetto per vivere altre affascinanti tue avventure!!
Grazie, carissima Debora!!
Francesco troppe lodi sperticate!!! Finirò col deluderti. Intanto ti ringrazio
Carissima Debora, Anche se tu volessi deludermi, non credo che mai ci riusciresti. Comunque le mie non sono lodi sperticate, ma semplici osservazioni e constatazioni della realtà. A questo punto aggiungo che la tua semplicità, è ancora un altro merito che denoto in te. Mi fermo qui così che tu non possa nuovamente pensare che ti lodo sperticatamente, ma ti invito, invece a credere che quando ti leggo, mi emoziono per la bellezza delle cose che racconti.